Opere
Tieste - da Lucio Anneo Seneca
Il mito dei fratelli atridei, ripreso basilarmente ignorando le sue derive shakespeariane, retorico e raccapricciante ad un tempo (il baroccheggiamento esasperato della forma non è che il corrispettivo linguistico della visione stoica del grand guignol sociale), era stato il mezzo per un primo esperimento sull’inattuabilità di una messa in scena integrale e infantilmente “fedele” del testo, per mantenere piuttosto l’afflato di follia della propria cultura tardissima elevando la rappresentazione ai livelli grotteschi di una Volgarità Vitale. Si cercava così di sublimare il senecano “dramma del potere” a “dramma della Vita”, nella quale le azioni umane, in bilico fra casualità e causalità, convergevano ad un finale liberatorio ma non catartico e nel quale l’unico gesto non era che il superamento stesso dell’uomo. Il superamento della vita come compromesso. Il Comico, d'impianto beniano, sezionava il Tragico suggerendone la sua vena più irrazionale e violenta attraverso iniezioni dal Woyzeck di Büchner, capaci di restituire una disperata consapevolezza del mondo attorno e del ruolo dei presenti alla rappresentazione all’interno del meccanismo del Sociale. La penombra della scena, immobilizzata ed impacchettata dai sanguinosi sensi di colpa, è popolata, per così dire, da due figure, nettate nelle proprie contraddizioni: due patetici antieroi immotivatamente vitali ed uguali a se stessi, incapaci di consolarsi nemmeno bestemmiando.
ATREO. Posso dirmi soddisfatto anch’io. Ora cammino con passo uguale a quello degli astri, ora sì che posseggo la dignità regale, il trono di mio padre. Posso licenziare gli dei: ho raggiunto il culmine dei miei voti.
Regia di Mario Biondino
Con Mario Biondino e Francesco Marinucci
Assistente alla regia: Giulia Corrado
Prima: marzo 2010
In foto: Mario Biondino e Francesco Marinucci.